Ti svegli, guardi l’orologio… e stai già cercando una scusa per non andare. Anche se, in teoria, va tutto bene. Lavoro stabile, colleghi ok. Ma dentro… qualcosa stringe. C’è qualcosa che non torna. E lo senti.
Ti svegli, guardi l’orologio… e stai già cercando una scusa per non andare.
Anche se, in teoria, va tutto bene. Lavoro stabile, colleghi ok.
Ma dentro… qualcosa stringe. C’è qualcosa che non torna. E lo senti.
E no — non è pigrizia.
Non è nemmeno burnout, almeno non quello da manuale.
È stanchezza silenziosa.
È come se stessi vivendo la vita di qualcun altro.
E sì, si può spiegare.
Ecco 5 motivi per cui anche un lavoro “normale” può svuotarti dentro —
specialmente quando sei arrivato al punto in cui non vuoi più sopportare stronzate.
Un tempo ti dicevi: “Beh, almeno è stabile. Non mi lamento.”
Ti permetteva di affittare, uscire, respirare un po’.
Ora hai più responsabilità, più compiti, più decisioni…
e lo stipendio? Sempre quello.
Quando ti propongono “nuove sfide”, pensi solo:
“Di nuovo? Per lo stesso stipendio?”
Cosa fare:
Chiediti: “Lo farei anche gratis?”
Se la risposta è “no” — la motivazione è solo economica.
E se neanche un aumento ti motiverebbe… allora il problema è altrove. Vedi punto 5.
Ti alzi, lavori, torni.
Tutto sembra a posto… ma dentro è vuoto.
Niente stimoli, niente orgoglio. Solo una lista di azioni.
E quella voce dentro mormora:
“Questa non è vita. È sopravvivenza.”
Cosa fare:
Non mollare tutto subito.
Forse non è il lavoro, ma la tua testa che ha bisogno di respiro.
Fermati. Cambia routine. Cammina. Disconnettiti.
A volte non serve cambiare lavoro, ma riconnettersi con sé stessi.
Sbagli? Te lo fanno notare subito.
Salvi una situazione? Silenzio.
E sì, anche noi uomini abbiamo bisogno di sentirci visti —
anche se non lo diciamo ad alta voce.
Cosa fare:
Parlane, con calma.
Tipo: “Mi farebbe piacere sapere come sto andando, così da migliorare.”
Se chi ti guida è una persona seria, capirà.
Se no… hai la tua risposta.
Nessuno ti esclude, ma neanche ti accoglie davvero.
Le battute non fanno ridere. Le pause caffè sono vuote.
E quando vedi le solite tazze sporche o i commenti dietro le spalle… ti sale la nausea.
Cosa fare:
Chiediti: C’è almeno una persona con cui posso parlare sinceramente?
Anche solo di musica, sport, qualcosa di reale.
Se sì — prova a costruire quel ponte.
Se no — forse sei nel posto sbagliato. E va bene così.
Hai imparato. Ce la fai. Sei diventato bravo.
Ma lo sai già: non c’è un “dopo”.
Nessuna crescita. Nessuna sfida. Nessuna visione.
Non è più carriera. È parcheggio.
Cosa fare:
Chiediti: “Che cosa voglio, davvero?”
Più libertà? Più impatto? Qualcosa di tuo?
Quando trovi la risposta — trovi la direzione.
Fa paura, certo.
Ma restare dove non cresci più… è morire piano.
Un lavoro non deve solo “pagare le bollette”.
Si prende mezza vita da svegli.
Se ti spegne dentro — è un segnale.
Non è debolezza.
È onestà verso te stesso.
Un uomo che si rispetta non si lascia marcire in silenzio.
Si ferma. Riflette. E poi agisce.
Vuoi rispetto?
Comincia da te stesso.
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